È bizzarro dover buttare giù una recensione per Flowing Lights a qualche settimana da Returnal.
Flowing Light si descrive facile. Hai presente Super Stardust? Forse no, però Resogun almeno per sbaglio l’hai incrociato dai. Lo hanno buttato su PlayStation Plus quando è uscita PS4 e quindi almeno in foto l’hai visto, su. Ecco. Flowing Lights è il metadone di Housemarque. Perché Housemarque dopo Returnal ha deciso che con quella roba ha chiuso, ed è anche giusto così. Sono un team che c’ha dato tanto e tanto si meriterebbe, e speriamo che Returnal sia il primo passo. Però per me che li seguo dai Super Stardust per PlayStation resta impossibile non pensarci:
Quindi. Flowing Lights è quello che una recensione normie ti definirebbe uno shoot ‘em up arcade basato sulla fisica. E già qui se sei un giocatore sgamato ti scatta qualcosa. Perché ormai arcade lo usiamo per dire “non simulativo” e, beh, la fisica di solito rientra di prepotenza nella simulazione. Per fortuna t’ha detto bene e una rece non è una recensione, quindi siediti che mo ti spiego Flowing Lights. Che mica siamo su ICrewPlay qua. Premesso che la cosa più facile sarebbe guardarsi un gameplay trailer a caso, immagina uno shoot ‘em up classico. Di quelli dove muovi la navetta e spari dritto per dritto e non c’è altro da fare. Poi si aggiunge una specie di cannone direzionabile e qualche bonus temporaneo, ma la base è questa qua.
Ecco, la particolarità di Flowing Lights è che i proiettili seguono le forze gravitazionali che ci sono nel livello. Pareti, salite, discese… Tutto quello che a schermo ha quelle righette verticali ha una sua gravità e altera la traiettoria dei proiettili. È l’unico espediente del gioco e chiaramente il gioco ne abusa per confezionare dei puzzle da risolvere in time attack che via via diventano più complicati. Più veloce sei e più è alto il punteggio e se pigli S c’è caso che ti regalino pure un cuore extra. Non c’è letteralmente un cazzo d’altro da dire sul gioco. Vai su eShop, su Steam o dove cazzo ti pare e se ti piace gli esci un deca e te lo giochi.
È arcade nel senso classico, quello dove c’è l’attitudine a fare più punti degli altri e a pavoneggiarsi per le proprie skill. Con l’arcade di oggi, quello dove il gameplay è alla buona ed è pensato solo per compiacersi prendendosi diverse licenze dalla realtà – che è un modo carino per dire che di Newton ce ne sbattiamo le palle – c’entra davvero poco.
Housemarque non t’ha mai fatto dei puzzle. Housemarque ti faceva sparare, alzava il ritmo a ritmi forsennati e arricchiva tutto con lucette ed effetti strobo. Quando non lo faceva veniva fuori Dead Nation e Dead Nation, diciamocelo, è il loro lavoro più dimenticabile. Ecco, Flowing Lights per quanto non sia un Clementoni da 1000 pezzi non raggiunge quei livelli di adrenalina. Anche perché farlo renderebbe il tutto fottutamente ingiocabile. Il parallelo è più di design che di giocattolo, perché come Flowing Lights gioca col mondo di gioco, così facevano in Finlandia. Certo, quando non erano impegnati a fare saune e fregare le caramelle agli svizzeri.
È quasi come tornare al level design planetoide di Super Stardust, o quello a tubo di Resogun. Qua non c’è il concetto di circolare ma il mondo e il livello vogliono essere sfruttati. C’è un dosso? Usalo per sparare col cannone facendo curvare il proiettile per colpire due nemici assieme. Flowing Lights vive su questi espedienti e funziona per un po’, forse anche per un bel po’. Poi iniziano i problemi. È l’unico trucco, te l’ho già detto. Già dopo poco quindi il gioco t’ha detto tutto quello che aveva da dire. E ok, più vai avanti coi livelli e più la sfida si apre e le cose si complicano. Ma la formula è quella lì e non è che si scappi, anzi. Aggiungici che la realizzazione degli ambienti non è che ti faccia impazzire e si vede che dietro c’è un team tutt’altro che milionario e ci siamo.
Quindi? Lo compro? No? Dipende un po’ da te. Il concept è figo e lo portano anche abbastanza in porto, solo non t’aspettare che sia una crociera. Più una gita al largo in giornata, ecco.