Perché “Game Critic”, “parlare di videogiochi” e stronzate del genere sono etichette generiche sotto cui poi trovi una moltitudine di approcci diversi alla chiacchiera attorno ai giochini. È critica tanto la recensione parruccona 1.0 di Elden Ring quanto il focus verticale sulle influenze dell’Art Déco a Liurnia Lacustre. E hanno pure la stessa dignità, nonostante a me l’idea della recensione che vuole parlarti di tutto e finisce per non dire niente faccia venire un prolasso anale mentre a te magari il buco del culo deflagra perché chi cazzo se ne frega dell’Art Déco.
Dirmi che per parlare di videogiochi devi essere alto almeno così è andare a fissare dei requisiti stupidi che prendono in considerazione solo un approccio orizzontale, il dover parlare dell’opera in quanto tale cercando di oggettivarla annullando il mio io. È un approccio fallace soprattutto perché prende tutti quei giochini che rifuggono dal manuale di Game Design violando intenzionalmente ogni norma e regola per raccontare qualcosa.
Sonic the Hedgehog è una merda, stando a quanto scritto nel Vangelo secondo Miyamoto. Ma il suo essere caotico in rottura con l’ordine e la precisione e i salti su carta millimetrata di Super Mario ti racconta tantissimo di quella SEGA.
La verità è che siamo assuefatti al format che c’è stato proposto negli ultimi 30 anni, credendo a chi diceva che è Critica solo se è fatta sulle pagine di una rivista o dentro il layout di un sito web. Che lo sia solo se in fondo c’è un numerino e l’elenco dei pro e dei contro, che parlare di The Last Guardian dopo che t’è morto il cane fosse sbagliato perché The Last Guardian è quella telecamera sgarrupata e quel frame rate incerto.
The Last Guardian per me invece è il mio cane che è morto pochi giorni prima del day one.