Non in senso romantico, no: molto più praticamente, i podcast hanno cambiato le mie abitudini di vita. Fino all’anno scorso in macchina ascoltavo quasi sempre la radio, subendo la programmazione dell’emittente su cui mi ero sintonizzato chissà quanti anni prima e che poi per pigrizia non ho mai cambiato. Al massimo switchavo ogni tanto su Virgin Radio, quando su 105 passava trap molesta o roba latina a cazzo di cane. Poi vabbè, è venuto fuori che quelli di Virgin sono dei boomer, succede. Non voglio neanche sapere che immondezzaio avrei trovato se avessi cercato “qual è il miglior podcast di videogiochi” su Google. Succede il cazzo.
Dici si, vabbè, il podcast esiste da tipo vent’anni. Adesso è diventato di moda, bypassando la fase da prodotto per alternativi hipster del cazzo. Sei scemo tu che ti sei svegliato solo ora. E ti direi anche di si, ma in realtà anche no. C’è un motivo per cui il podcast è diventato di moda adesso, ha iniziato a cambiare le nostre vite adesso. E il motivo è che prima ascoltare un podcast era di una scomodità disarmante, l’equivalente acustico del far sesso con Antonino Lupo.
All’inizio, dovevi avere un iPod. E scaricare tracce audio di perfetti sconosciuti da iTunes, il software più malvagio mai prodotto dai tempi di Windows Vista. Poi hanno iniziato a venire fuori alternative più o meno lecite, più o meno legali. Ma fino all’altro ieri chiunque produceva e distribuiva podcast non aveva altro Dio al di fuori di iTunes e dei suoi algoritmi segreti come la formula della Coca Cola. Era uno sbattimento. Io stesso, che sono un maniaco ossessivo compulsivo e riascolto gli episodi di Gameromancer per vedere quanto cazzo mi faccio schifo a distanza di tempo, preferivo usare i nostri web player. Che non funzionavano bene come un’app a caso per ascoltare audio, figurati. Ma avevano il grosso plus di iniettare nelle casse della mia auto le voci della Veschipedia senza dover scaricare nulla.
Non c’era discoverability. Era praticamente come rilasciare un gioco indie su PC prima dell’arrivo di quel cancro di nome Steam. Sparavi e pregavi che per qualche motivo, per qualche grazia di quel Dio generico a cui ti rivolgi quando preghi per qualcosa anche se sei ateo, qualcuno ti notasse. Un po’ alla volta le cose sono migliorate, poi Spotify le ha fatte letteralmente esplodere. È diventato facile. E per quanto la radio sia ancora più a misura di pigro, adesso i podcast riempiono le mie nicchie di tempo in auto. E hanno cambiato le mie abitudini.
Aggiungendo semplicemente la label “podcast” Spotify ha aperto un mondo di possibilità a tutti, rendendo la distribuzione abbastanza più semplice (vedi alla voce Anchor) e soprattutto l’ascolto comodo quanto andare a cercarsi contenuto su Youtube. O su Netflix.
Spotify ci fa abbonare perché così diventa più comodo ascoltare contenuto. Niente ads, niente shuffle, poter usare il tasto skip. Ed un sacco di podcast, materiale che i content creator sono contentissimi di registrare e distribuire e su cui Spotify sta facendo soldi aggratis. Ne abbiamo parlato in uno di quegli episodi di Gameromancer dove Gameromancer non parla di videogiochi, e che infatti doveva essere un randomancer. Però con un Fabio Scalini così in forma, un Marco Ghinassi in modalità Proxi Luminale e soprattutto il vice presidente di Querty Claudio Serena che mette sul piatto 15 anni di esperienza, storie e racconti, che fai?