Ha ancora senso, scrivere di videogiochi? Ha ancora senso scrivere, punto? In un mondo sempre più 4.0 proiettato al futuro e di corsa, dove ascoltiamo i messaggi vocali – e cazzo, anche le serie tv – a velocità doppia pur di rimanere sul pezzo, la lettura appare quanto mai anacronistica. Un vezzo, un’abitudine dura a morire che coltiviamo da millenni, ma che ci va sempre più stretta.
Stiamo gettando la spugna. Videorecensioni, podcast, text-to-speech. Qualunque cosa pur di essere multitasking. Qualunque cosa pur di poter fare altro, mentre l’informazione rimane un sottofondo. Contenuti presi random dalla rete, scelti da un’algoritmo che per qualche motivo ha pensato ci potesse interessare l’ennesimo esperimento di Cross Podcasting tra due realtà che parlano di giochini e che non hanno più la sbatta di scrivere, di videogiochi giochini. E il next step dell’andare a cercarsi il finale di Death Stranding sull’Internet, in barba a quei fessi che lo giocano e ci fanno contenuto. Fessi.
Non abbiamo più voglia, al punto da desiderare i Sogni Luminali, un sistema per consumare avidamente contenuto anche in quelle otto ore di sonno che ci mantengono in vita ma sono tempo perso. Il mondo è cambiato – Cristo, anche noi siamo cambiati! – ma non vogliamo ammetterlo, testardi e illusi che non siamo altro. Noi per primi non abbiamo più la pazienza di leggere, come possiamo sperare che possa aver senso ancora scrivere, di videogiochi e non? Deve cambiare l’approccio di chi ambisce a fare critica, visto che sta cambiando quello di quelli che una volta erano lettori. Ma lo erano davvero? O è solo circle-jerking, si leggeva poco anche prima, solo che siccome ci si facevano ancora decentemente soldi il problema passava in sordina? Tante domande, pochissime risposte. A cui Gameromancer da solo non può rispondere, essendo una sola voce fuori dal coro.