Non so se è sempre stato così, ma per me parlare di videogiochi è ogni giorno più stancante. Non per i videogiochi in sé, che continuano a piacermi e anche tanto, ma per tutto ciò che ci sta intorno. Ne ho scritto qualche giorno fa su quella che dalla regia mi dicono che da queste parti si usa chiamare PoteriArcani la Rivista Ufficiale™ – altrimenti nota come The Games Machine. Lì prendevo come esempio del mio sconforto due degli sterminati esempi di “oh dio, che sta succedendo nell’industria dei videogiochi oggi?”, e cioè Blizzard che decide di ridimensionare significativamente la componente PvE (cioè singleplayer/cooperativa) di Overwatch 2, e CD Projekt che licenzia 21 persone dalla studio The Molasses Flood.
Da allora, ovviamente, ne sono successe di cose. I licenziamenti si sono susseguiti in altri studi, per dirne una, fra cui Firaxis, Nintendo e CD Projekt RED. Activision Blizzard ha avuto modo di risalire in cima alle cronache, fra una discussa (per essere molto generosi) intervista di Bobby Kotick e la notizia che, guarda un po’, dentro le stanze di ABK le cose continuano a non andare benissimo – il tutto unito a un bel tentativo di rainbow washing, perché è pur sempre il Pride Month. E Six Days in Fallujah è tornato a farsi vedere, e già pregusto e in egual modo temo quelle discussioni.
Ma la cosa che in queste ore mi ha davvero fatto incazzare è la reazione che ha ricevuto un gioco che probabilmente farà pure cagare. Il gioco in questione si chiama Ecumene Aztec ed è ambientato a Tenochtitlan e dintorni all’epoca dell’arrivo dei Conquistadores. A essere onesti non sembra granché: mi dà l’impressione che finirà per essere – ma sarei felice di essere smentito – l’ennesimo survival game che si fa prendere dal cosiddetto scope creep e non riesce a realizzare in pieno neanche metà delle sue promesse, tanto più che la data di rilascio prevista è il 2025. E questo anche senza entrare nelle inesattezze storiche, tipo il fatto che per qualche motivo la capitale dell’impero azteco è tutta marrone.
Però non è l’ennesimo gioco probabilmente brutto a farmi girare le scatole. A farmi desiderare di poter chiamare un laser orbitale sulla testa di certi utenti sono i commenti che possiamo vedere al di sotto del tweet di IGN che riporta il trailer d’annuncio di Ecumene Aztec (e che vi consiglio di aprire solo se avete voglia di rovinarvi il fegato), e che anche non andando a indagare non dubito che saranno apparsi in veste simile anche su altri canali social come YouTube o Facebook.
Cos’hanno di particolare questi commenti? Presto detto: si sono risentiti perché nel trailer viene mostrato un azteco che ammazza conquistadores. E questo non va bene perché in quanto occidentali, i conquistadores sono portatori di civilità, giusto?
Dopotutto, gli aztechi compivano anche sacrifici umani rituali.
Le ultime frasi, casomai non fosse chiaro, sono ironiche. E non perché l’impero azteco fosse illuminato e progressista, ma perché se i conquistadores di Cortes sono giunti nell’odierno Messico e hanno combattuto contro gli Aztechi non è stato certo perché i loro intenti erano umanitari ed emancipatori. Certo, sicuramente hanno posto fine ai sacrifici umani rituali, come piace ricordare a certi meme degni giusto della discarica; ma altrettanto sicuramente non l’hanno fatto per spirito di carità nei confronti degli indigeni.
Come dovrebbe sapere chiunque ha ricevuto un minimo di educazione scolastica sull’argomento, le dominazioni spagnole e portoghesi nell’America centrale e meridionale furono brutali, e causarono la morte di una quantità terrificante di appartenenti alle popolazioni indigene; conteggi ufficiali non ne esistono, ma le stime più diffuse parlano di decine di milioni di morti fra guerre, malattie e maltrattamenti: la quasi totalità degli indigeni fu infatti schiavizzata e posta a lavorare sotto condizioni disumane nelle miniere di oro e argenti. Sempre sacrifici umani, dunque, ma in nome del profitto piuttosto che di un qualche dio.
Un rapido resoconto della colonizzazione europea nelle Americhe e dei suoi effetti si può facilmente trovare su Wikipedia, ma per aiutare sia a capire di che genere di eventi stiamo parlando sia come la brutalità del trattamento subito dagli indigeni da parte dei colonizzatori finisse per colpire perfino alcuni contemporanei e conterranei dei conquistadores, userò un estratto da La Conquista dell’America. Il problema dell’altro di Tzvetan Todorov, che a sua volta cita la Historia de Las Indias di Bartolomé de Las Casas, scritta nel 1527:
«Bisogna sapere che gli spagnoli, il giorno del loro arrivo, si fermarono al mattino – per fare colazione – nel letto prosciugato di un torrente, disseminato ancora, qua e là, da alcune piccole pozze d’acqua e pieno di pietre da molare: ciò suggerì loro l’idea di affilare le spade. […] All’improvviso uno spagnolo (nel quale si può pensare fosse entrato il demonio) trae la spada dal fodero, e subito gli altri cento fanno altrettanto, e cominciano a sventrare, a trafiggere e a massacrare pecore e agnelli, uomini e donne, vecchi e bambini che se ne stavano seduti tranquillamente lì vicino, guardando pieni di meraviglia i cavalli e gli spagnoli. In pochi istanti, non rimase vivo nessuno.»
“Las Casas”, spiega l’autore del libro, “non trova spiegazione per questo fatto, se non il desiderio degli spagnoli di verificare se le spade fossero bene affilate.”
Ora, il problema non è non essere a conoscenza di questi fatti, o in generale di cosa è successo nelle Americhe fra il Cinquecento e il Seicento. Si può tranquillamente imputare a un programma scolastico che non ha mai il tempo per parlare bene di nulla, o anche a una mancanza d’interesse per il tema storico. Uscite come quelle che possiamo vedere apparire regolarmente nei commenti al di sotto del trailer di Ecumene Aztec, però, non sono solo questione di poca conoscenza.
Perché “gli spagnoli si macchiarono di orribili crimini” è giusto pochi passi più in là di “gli aztechi facevano i sacrifici umani“, per chiunque voglia informarsi davvero sull’argomento. Ma c’è di più, chiaramente, non è solo la malafede del singolo. C’è anche sotto quella guerra culturale che caratterizza i giorni nostri e che travolge ormai anche i videogiochi. Quella che vede la cultura occidentale e cristiana come implicitamente superiore, sulla base di idee distorte come la nozione di progresso e di civiltà – quando invece anche gli stessi conquistadores descrivevano Tenochtitlan come una città stupenda, e quando le città europee del Cinquecento non erano certo modelli di sanità e igiene.
Che vede nella rappresentazione nei media dell’altro, come lo definisce Todorov, come una anormalità da combattere, come un elemento corruttivo, come qualcosa che può interessare solo ai famigerati woke. Che è la stessa che quando vede uno Spider-Man nero, un Joel latinoamericano, una fanbase che vede tematiche LGBT in The Legend of Zelda o due donne che si baciano in un trailer, decide che è giunto il momento di una nuova, nefasta crociata.
E c’è una fetta di giocatori, larga a sufficienza da convincere un piccolo sviluppatore a cambiare i suoi piani, che in questa guerra culturale ci sguazza con piacere.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?