Volevo fare il chitarrista e mi mancava il tocco
Licenza poetica da “Come io comanda” di J-Ax
Volevo fare il giornalista, ma costava troppo
Penso che a chiunque, almeno una volta nella vita, sia venuta un’idea che si è scontrata con la realtà. Spesso mi accade durante il periodo natalizio, quando mettendomi in pari coi parenti mi rendo conto che, nella mia vita, non ho realizzato una ricca sega di ciò che mi ero prefissato. Tanti sogni e progetti che sono andati a farsi fottere contro gli scogli della vita e della routine, o più banalmente contro la pigrizia di chi, come me, ogni anno si scrive nella lista dei buoni propositi per l’anno che verrà di iscriversi in palestra.
Ma tra tutti i sogni che ancora mi perseguitano porto dentro c’è quello di diventare un giornalista di giochini. Andiamo, siamo sinceri: chi non ci ha mai pensato d’altronde? Eventi, giocare i titoli in anteprima, scrivere della propria passione come lavoro e girovagare in mezzo al mondo videoludico non solo come fruitorə, ma come divulagatorə. E non prendiamoci per il culo: venduta così in tantə faremmo carte false pur di entrare a lavorare in questo mondo no?
Quel qualcuno non sono io. Non sono un giornalista, non sono un critico, non sono un cazzo di nulla se non un uomo ragazzo che ama scrivere delle sue passioni e di come le vive. Ma ho modo di capire in una qualche misura quanto male ci sia nel settore del giornalismo in generale.
Ogni volta che apro i social mi rendo conto di quanto mi faccia schifo un mondo fatto di figli e figliastri d’arte, di sessismo, di molestie, di notizie scritte in mezzo ai banner e di nonnismo. Certo, queste cose non vengono fatte alla luce del sole, bisogna mettersi a leggere le scritte in piccolo a fine contratto, ma ci sono.
Perché si, mi rendo conto che su questo pianeta fatto di persone ma anche di promesse e prese per il culo qualche bravə cristianə ci sia, ma ad una certa bisogna fare un attimo i conti con la realtà e con il calcolo delle probabilità, cercando di ignorare quella meravigliosa variante chiamata “Legge di Murphy” ed attuare un protocollo di autoconservazione, giusto per metter più kilometri possibili tra te e lə stronzə. Capire un attimo dove andare e cosa fare, con chi soprattutto. E oh, già va di culo se sei uomo, almeno non rischi di beccarti insulti gratuiti da gente che si sente derubata del lavoro dalle tettone.
E mi fa girare i coglioni scrivere queste robe, perché il sogno di diventar giornalista dei giochi ce l’ho avuto ed una parte di me ce l’ha ancora, come quell’idea del cazzo che viene sempre allo stronzo del gruppo di trentenni che tra una sigaretta ed un Negroni pronuncia la frase “dovremmo proprio aprire un bar” (frase pronunciata senza che nessuno di noi avesse mai seguito How I met your mother). Ma se tra l’idea di aprire un bar e l’effettivo alzarne la serranda ci sono in mezzo soldi, autorizzazioni, altri soldi, formazione e via discorrendo, cosa c’è tra un ragazzinə che vorrebbe scrivere della sua passione ed il mondo fatto di squali e Giambruno? Niente, ecco cosa c’è.
Quel qualcunə io ce l’ho avuto, ed è stato più di unə. Gente che mi ha raccontato dei casi più recenti e quelli passati, che mi ha narrato i fatti di Eurogamer e che mi ha levato le fette di salame (un affettato a caso eh, tra tutti quelli che potevo scegliere) dagli occhi.
E che si, m’ha sfasciato il sogno per mostrarmi l’incubo che c’è dietro, ma un bagno di realtà fa sempre bene, specie quando chi te lo fa è gente che in quel pozzo di merda di è già caduta.