Quanto tempo è passato dall’ultima volta? Saranno anni, secoli forse… Che dolore, sento come se la mia spina fosse staccata. Spossato, privo di energie.
Chi sono io? Un tempo fui potente, amato da tutti, ero il padrone del tempo, ma ora chi sono? Cosa sono? Forse potrò ricordare il mio nome, se solo sapessi le mie qualità. Ero… Ero veloce, sì, ero difficile, ero competitivo, impegnativo, tutti volevano giocare con me, tutti volevano sconfiggermi, ma solo in pochi ci riuscirono e io in cambio presi il loro tempo, le loro parole, le loro storie.
Ricordo che vivevo in grandi sale, con diverse forme, diversi colori, e ricordo che per poter competere con me servivano degli oggetti circolari… Gettoni, forse… Deve essere passato davvero tanto tempo, non vedo più quegli strumenti, quelle periferiche, i cabinati. Chissà cosa è accaduto alle mie maschere.
Cosa sono questi filamenti? Sono molto veloci, sono brillanti, che siano le nuove spine? Quando i miei occhi godevano ancora di una giovane vista, vi erano solo grovigli di cavi ammassati in un angolo, tutti sulla stessa presa, tutti a nutrirsi di energia elettrica dalla stessa fonte e tutti all’unisono. Ricordo quelle mattine, dopo le prime luci dell’alba. Una grattata forte della serranda che si nasconde nel muro, le finestre che si spalancano, il freddo degli inverni e il caldo delle estati, e infine la vita. Come un fiume giallo, l’energia elettrica fluiva dividendosi e inondando ogni cavo, ogni presa, e arriva alla fine ai cabinati che potevano finalmente svegliarsi e ammirare i volti fermenti e genuini dei giovani uomini pronti a giocare con loro. Che sorrisi meravigliosi…
Ah! Che dolore! Devo… Devo ricordare con calma, non è possibile che non abbia lasciato un erede, non è possibile che la mia vita sia stata messa in pausa senza salvare.
Seguiamo questi fili, probabilmente mi condurranno a casa…
Che gioia! Ancora volti giovani, devono essere i figli dei miei giocatori! Ma… Qualcosa non va! Non vedo più quei sorrisi, vedo solo rabbia, alienazione, assenza. Sono corpi vuoti, incastrati in un tempo sempre uguale, non sembrano neanche uomini. Cosa è successo? Con quale mio erede stanno giocando?
Questa macchina è più piccola rispetto alle mie maschere. Sono contento, è possibile portarla con sé, è possibile averne di più, più scelte, più semplicità. Vedo anche che i miei figli sono aumentati a dismisura e ognuno ha una sua identità e vedo anche che alcuni giovani sono felici, si divertono, si emozionano. E allora perché per quel ragazzo non è così? Quale figlio ingrato, bastardo e approfittatore fa questo ai miei giocatori? Io lo ammazzo!
Colori… Tanti colori… Troppi colori! Scritte che coprono lo schermo, immagini più grandi dei protagonisti del gioco e movimenti ripetitivi e banali. Cos’ è questo inferno? È peggio dello scantinato ammuffito dove sono stato relegato così a lungo!
Cos’è questo tasto più luminoso degli altri? “Shop“, cosa vorrà mai dire? Meglio dare un’occhiata…
No… No! È un incubo!
In quale mondo pagare per avere costumi diversi può essere divertimento? In quale mondo questo dovrebbe avere un ritorno economico? In nessuno! Dovresti pagare una volta e poter scegliere, scegliere tra tranti personaggi, tutti diversi e speciali, non questo!
Calma… Calma… Alla fine sono solo vestiti, che male può fare? In pochi spenderanno i loro guadagni in questo modo; il gioco, l’essenza stessa di ciò che sono e siamo, rimarrà invariata, manterrà il divertimento, saranno solamente le vesti a essere cangianti non la sostan…
Io li eliminerò, li eliminerò tutti! Li fagociterò in un sol boccone. Tutti. Tu sarai il primo, figlio ingrato, partirò da te, “Free To Play”, semi-divintà approfittatrice e ingannatrice.
Pagare per aver aiuti, pagare per essere migliore degli altri, ma ancor più grave: pagare per giocar di meno… Questo è rubare. Ma non il rubare che io ti ho lasciato in eredità, oh no! Io rubavo e davo, rubavo tempo e davo emozioni, ero il Robin Hood dei mondi alternativi. Tu sei solo un bieco ingannatore, con i tuo mondi lucenti e le tue lucide armature, ti fregi e circuisci i poveri giocatori che da te cercano ristoro, sfida e conforto. Ma io ti eliminerò, ad ogni costo…
Fu una lunga battaglia. Una guerra su tutti i fronti. Riuscii ad allearmi con uno dei miei figli: porta il mio stesso nome, ma non è come me, o almeno, lo è solo in parte.
Affrontammo il tiranno. Per un momento sembrammo sconfiggerlo, ma i suoi seguaci, nel mentre la mia mascella si serrava sulle sue morbide carni, lo tramutarono in pietra, rendendolo robusto e pesante. Rigettai tutti i figli ingeriti tempo addietro, durante la battaglia, quando il fato era favorevole; e lo scoramento si annidò tra le nostre fila.
Avevamo perso la battaglia e con lei la guerra. I figli che prima erano titubanti ad elegere tale ricattatore come sovrano assoluto, dopo i nefasti eventi decisero di divenire suoi alleati, presero parte delle sue meschinità e le fecero proprie, cambiando forma per sempre.
Il figlio omonimo, fu costretto ad abiurare al suo credo e fu condannato ad assogettarsi al volere del più forte. Io fui relegato nei recessi della memoria e ancora oggi sono in pochi a ricordare la mia esistenza, sono in pochi a conoscere il mio valore per ciò che veramente era, sono in pochi a portare con orgoglio il vessillo con inciso il mio nome. Ma ritornerà il giorno in cui i giovani si sveglieranno dal loro sonno fatto di costumi colorati e gemme preziose; e torneranno a sudare, combattere e gioire insieme a me e ai miei figli prediletti.
Infine, il nome mio fu chiaro a tutti.