A Tiny Stricker Tale è una coperta morbida. Una di quelle che metti sul letto anche d’estate, quando fanno quaranta gradi. Ti protegge dai mostri, ti fa sentire protetto, evita che il mostro sotto al letto ti mangi i piedi. Insomma, è la definizione di chill. Difficoltà bassissima ma perfettamente coerente con il gioco, enigmi carinissimi e tutti legati alle storie dei personaggi e un mondo coloratissimo che mio dio quasi vomito per quanto è puccioso. In due ore perfette anche per un bambino impari il valore dell’amicizia e dei legami in generale, ti senti meno solo e capisci che i ricordi sono tanto importanti quanto il presente. Certo, non stiamo parlando di Aaron Sorkin e i suoi dialoghi alla Schumacher (prima che avesse l’incidente, ora, insomma… è come parlare con Barbalbero… in più di un senso), è pur sempre una roba dolcina che ti deve far sentire bene e che anche alle elementari possono giocare. Però ha quel qualcosa in più che ti fa capire quanto i videogiochi siano veicolo per messaggi importanti, anche quando sono banali. E io la banalità e la semplicità nei videogiochi me la rivendico tutta, perché quando è voluta, quando il gioco ti dice dall’inizio che sei qui perché sei speciale, che ti meriti di stare bene, allora non ci sta gatekeeper che tenga: questi sono videogiochi tanto quanto gli altri e se li bistratti, per piacere fai come la Meloni e torna a scrivere frasi Tumblr su Instagram. Inizio io per te: “per quanto l’erba provi a diventare un fascio, l’erba rimane erba e tu rimani un fascio”.
E con questo vi lascio alla videorecensione su Youtube (potete cliccare qua sotto) e alla stessa videorecensione ma audio su Patreon e Spotify.