Il fascino della sfera è atavico. Il suo rotolare esalta il concetto di inerzia, spinge al controllo dell’incontrollabile che sfocia nel classico “la palla è rotonda” calcistico. Una forma geometrica imprevedibile e perfetta, instabile, ipercinetica e fascinosa, in due parole: Katamari Damacy. La sfera videoludica dei nostri tempi, laddove Marble Madness ne aveva già colto le meraviglie, digitalizzandola con una fisica ancora primitiva, che si fa specchio del consumismo sfrenato e dello spreco come insulto all’ambiente. Nell’opera di Takahashi la spazzatura non viene incenerita in nere nubi cancerogene ma diventa materiale nobile per ricreare il firmamento, riciclata per donare gioielli all’universo e rimediare ai casini del vanitoso Re del Cosmo, personaggio divino, annoiato, probabilmente sotto gli effetti della ganja buona, esattamente il Dio che vorrei. E noi il suo figlio prediletto, un principe mandato sulla Terra per portare il fardello del Katamari piglia-tutto e mondare gli sprechi, indicando all’umanità la via per un futuro celestiale, privo di beni materiali. Una meravigliosa allegoria religiosa folle e psichedelica, tra gli altri sottotesti apparentemente non-sense, avvolti tra i fumi di un’ebbrezza cromoterapeutica che sulle prime fa passare i messaggi in secondo piano, travolti da un divertimento che di questi tempi risulta quasi volgare e fuori luogo. Come vi permettete di riproporre un gioco divertente? Non avete visto dove sta andando il mercato? Si, a fare in culo, di questo passo, col vaso di Pandora dello sviluppo AAA sempre più scoperchiato, con la merda che ne esce a fiotti. Katamari Damacy Reroll (e i prodotti ad esso affini) ha un’importanza tanto fondamentale quanto ignorata. Ci ricorda cos’è il videogioco nella sua essenza, è totale, assolutamente sferico e perfetto nei suoi meccanismi ludico-narrativi. Travolge il giocatore ignaro e assuefatto, come gli ebeti che girano senza meta per questo Giappone dall’estetica vagamente Playmobil sotto acido, eterna ed eccezionale, pronti a prendere a calci il piccolo Katamari come bulletti, ignari della sua inarrestabile crescita, destinati ad esserne inglobati tra urla di terrore e le risate del giocatore. Faticoso e liberatorio come fare pulizia in casa, gli analogici come minuscole e poderose braccia, un’escalation di raccolta rifiuti che raggiungerà vette fisiche e libidinose incredibili. Raccogliamo tutto sto schifo e buttiamolo nello spazio, via, vaffanculo!
La bellezza di rotolare è la possibilità di osservare tutto da ogni prospettiva. Rotolare è metafora stessa della vita, soggetta a pendenze, ostacoli, inerzie e nel Katamari si può riconoscere tutto questo. Una palla che appiccica a sé durante il passaggio oggetti, persone, simboli, centro di gravità come lo è ogni essere umano. Vedete quante interpretazioni si possono dare a un titolo ben fatto, apparentemente fuori di testa per il gusto di esserlo? Questa è la meraviglia del videogioco come mezzo narrativo, fusione di mito e rito che innalza lo spirito e ci rende un pochino migliori.