Nell’ultima mesata in questo grandissimo Circo Togni che corrisponde al nome di “giornalismo videoludico” (pur non essendo né giornalismo né videoludico, peraltro) si è parlato un sacco di questo ritorno di PSM. Che in realtà è il secondo ritorno di PSM, dopo un primo rilancio tipo nel 2017 durato la bellezza di 3 numeri. La cosa che ha monopolizzato la discussione è stato il claim con cui la rivista s’è presentata al pubblico. L’idea è stata quella di vantare le recensioni più oneste di un sacco di roba uscita il secolo scorso. A posteriori adesso possiamo dirlo: è un peccato. Perché cazzo, sarebbe bastato scavare un centimetro più in profondità per poter ridicolizzare selvaggiamente tutta l’iniziativa editoriale. Ma meno male che ce pensa Gameromancer adesso…
Sfogliando la rivista, oltre alle recensioni più oneste e pregne di parentesi di tutto il videoludo, è interessante ai fini di questo discorso la parte relativa agli speciali. Che va da pagina 76 fino alla fine della rivista, quindi ne compone più della metà.
La cosa molto fica di questa sezione speciali è che viene pubblicizzata a pagina 5 (quella con tutti i faccioni dei redattori di questo nuovo-nuovo PSM) con il sottotitolo “i nostri speciali nostalgici a tema fisso”. Del discorso nostalgia s’è già abbondantemente parlato, oggi voglio soffermarmi su un’altra parola. “Nostri”. Da questo specchietto infatti capisco che questi speciali sono stati scritti dalla redazione, ovvero dai faccioni che occupano tutta la metà destra della pagina.
Non c’è nulla né in questa pagina né nel resto della rivista che smentisca questa cosa. In fondo al numero tra le pallosissime note legali c’è una scrittina che indica i loghi di Future e di Retro Gamer. Basta. Niente nella rivista permette di capire quali siano i contenuti originali prodotti dalla redazione e quali appunto quelli su licenza ridistribuiti.
Ecco spiegato il mistero di “ma come fa a stare in piedi una rivista bimestrale sui giochini vecchi venduta a 10€ al numero?“. Per metà dei contenuti si è semplicemente attinto dalle licenze già in casa, dato che Sprea già in tempi non sospetti aveva rilevato la succursale italiana di Future (che è l’editore di Retro Gamer). Questo è assolutamente legale, sia chiaro. Non si sta mettendo in dubbio la liceità della mossa. Quello che stride è da una parte affermare di essere gli autori delle recensioni più oneste dei videogiochi di tendenza dell’ultimo periodo, mentre dall’altra metà della rivista non è farina del tuo sacco, ma roba di cui avevi i diritti di pubblicazione e ti sei limitato a tradurre.
Lo speciale di Legacy of Kain pubblicato al grido di “non dimentichiamoli” è un pezzo di Lewis Packwood uscito sul numero 170 di Retro Gamer. Paro paro, con anche la stessa impostazione grafica. Cambiano solo le cornicette attorno alle foto dei vari membri del team di sviluppo, ma per il resto il pezzo è lui. Vale la stessa cosa per il dietro le quinte di The Legend of Heroes: Trails in the Sky, anche questo ripreso in buona parte da un numero di Retro Gamer.
La pagina che mostra i protagonisti di Trails in the Sky ha sostanzialmente la stessa impaginazione (cambia solo lo sfondo) e gli stessi testi. Per lo speciale “Granpa Gamer” (sì, scritto male. E nel sommario scritto divesamente come “Grampa Gamer”. Dafuq?) su Sabre Wulf si è quantomeno cambiata un po’ la veste grafica del box dedicato alle conversioni del gioco, ma anche in questo caso i testi sono ripresi dalla rivista inglese e semplicemente tradotti. Ovviamente menzionando solo il nome dell’anziano editor di PSM che cura la rubrica.
Fa sorridere che tutto questo succeda nello stesso primo numero di una rivista che esordisce con un editoriale di apertura (firmato da tutto il PSM Team) che denunciava le storture di un sistema dove a fare le recensioni è gente irrimediabilmente collusa con le grandi aziende del videoludo. PSM no, non riceve “copie gratis delle limited edition dei giochi” e non campa “di investimenti pubblicitari”. Non deve fare marchette a nessuno, insomma. A parte al suo pubblico. Lo stesso pubblico che circuisce con una comunicazione tutt’altro che trasparente. Senza specificare da dove sono presi i contenuti non prodotti ad-hoc per la rivista. Senza nessun riconoscimento per gli autori originali (che sì, su Retro Gamer quantomeno potevano vedere il loro nome stampato su carta).
Tutto legale, sicuramente. Come già detto non è questo il punto. Il punto è che è assolutamente ridicolo parlare di onestà se poi sei il primo a non essere onesto nei confronti di quello che affermi essere il tuo unico padrone. Molto più ridicolo degli strilloni a mezzo social sulle redattrici tettone che ti rubano il lavoro. E anche dell’esporre colleghe (donne, come le tettone, coincidenze?) sulla pubblica piazza perché non sei d’accordo col voto dato a un giochino.
Evidentemente la quota onestà era già stata raggiunta con il 7 a Final Fantasy XVI dato a 4 mesi dall’uscita del gioco. Toccava fare qualcosa per riequilibrare ‘sto karma. Si è scelto di farlo nel modo più becero possibile.