Correva l’anno 1994 quando nelle sale uscì “Il Corvo”, un film che è entrato di diritto nella mia lista di robe da rivedere ciclicamente ogni tot per quanto mi è rimasto dentro. Al di là della storia tragica e romantica che racconta, il fascino che ha su di me deriva da due robe: la prima è il corvo nel senso stretto, soprattutto per il suo compito di collegare il mondo dei vivi e quello dei morti, la seconda è la morte.
Tutto ciò che circonda la Triste Mietitrice, dall’immaginario collettivo al suo tragico compito mi ha sempre affascinato, un po’ complice il dualismo (altra roba che su di me ha presa facile, vedi PoP: I due Troni) che la accompagna e la contraddistingue, quella figura che toglie la vita ma che, in certi casi, gli restituisce dignità.
Quando ho iniziato Death’s Door mi aspettavo il giochino tappabuchi per ammazzare il tempo, ed invece mi sono ritrovato l’ennesima piccola perla da aggiungere alla collana, un’altra roba su cui riflettere e su cui farmi le seghe mentali. Principalmente: quanto dev’essere difficile brandire la falce della Mietitrice, e di quale delle tante?
C’è quella seria e cupa raccontata in Good Omens, quella un po’ sbadata che opera in Mondo Disco, quella leale e fraterna di Darksiders che si riduce a galoppino per scagionare il fratello Guerra, quella caciarona di Medievil che non perde occasione per sfottere Sir Daniel Fortesque…
Poi c’è La Morte. Quella che ti toglie qualcunə, che ti lascia da solə. E non ci puoi fare un cazzo perché non sei in quella nazione sperduta raccontata ne Le Intermittenze della Morte di José Saramago, la gente muore e sta a chi resta indietro farci i conti. E magari se ne va con un sollievo, come in quel maledetto capitolo di Life is Strange dove siamo noi a portare le vesti della Signora in Nero e decidere cosa fare e capire se abbiamo il coraggio di assaggiare nel piatto dove lei mangia da secoli, ma noi quel sollievo non sappiamo se abbiamo la forza di concederlo e/o concedercelo. Perché al netto delle fedi religiose o meno noi rimarremo qui, mentre chi avevamo davanti no.
Una delle cose che più mi è piaciuta di Death’s Door viene rivelata proprio nelle battute finali, quando il nostro pennuto protagonista conosce Morte e questə spiega perché ha abbandonato le sue mansioni millenarie per darle ai Corvi Mietitori: si stava deprimendo. Strappare vite altrui dal mondo e dai loro cari lə iniziava a pesare sulla coscienza, e poter affidare questo fardello a qualcun altrə è stata la sua via di fuga, e cazzo se lə capisco. Finché si tratta di essere lo spietato flagello conosciuto e temuto come Il Cavaliere del destriero pallido in Darksiders, armato di falce e nobili intenzioni siamo tutti buoni, ma quando ci vengono date delle emozioni e delle vesti più umane nulla è cosi leggero.
Ne Il Corvo viene pronunciata una frase che mi è rimasta dentro ed alla quale non ho potuto dare un’interpretazione valida finchè non ci ho sbattuto il muso contro, e non è quel “non può piovere per sempre” che si, molto romantico ma mi ha un po’ stufato a furia di leggerlo ovunque sui social.
Prima davo per scontato che Top Dollar si riferisse a se stesso con questa frase, come figlio di un padre crudele che dandogli un regalo gli spiegasse cosa fosse la morte. Solo a distanza di anni mi venne il dubbio che forse quell’uomo non fosse un genitore degenere. Forse era un marito che aveva appena perso la moglie e non sapeva come spiegarlo al figlio di cinque anni, oppure un padre che stava per andarsene da questo mondo. Forse nel film lo spiega pure e sono io che non mi ricordo un cazzo, fatto sta che mi toccherà riguardarlo per trovare una risposta o per provare a darci un’interpretazione.