Disclaimer: In mancanza di una locuzione più specifica nell’articolo viene utilizzata la terminologia Persone di colore per riferirsi alla totalità di persone che non sono considerate nel privilegio che deriva dall’essere bianchi, pur essendo a conoscenza della problematicità di questo termine ombrello.
E siamo qua, a scrivere una recensione piccantella su Forspoken in stile Gameromancer. Io che non ho neanche mai scritto una recensione, non so come si fa, non so quali siano le regole, non so di che cosa si deve parlare in una recensione. Ma poi che cazzo significa recensione? Cerchiamo su Wikipedia… “La recensione è un testo valutativo e interpretativo di un’opera letteraria, scientifica o artistica, di cui vengono analizzati gli aspetti contenutistici ed estetici.” Mi sembra un po’ troppo banale ridurre tutto ciò che c’è dietro un videogioco al contenuto e all’estetica. La storia che c’è dietro la creazione di un videogioco mi sembrerebbe abbastanza importante da inserire all’interno di una recensione. Per non parlare della “valutazione”. Io ve lo dico già da mo’: non darò un voto a Forspoken. Per me non ha senso racchiudere la complessità che troviamo all’interno di un’opera come il videogioco in un voto, qualsiasi esso sia, stelline, numerini, cazzetti. Come faccio a spiegare a parole, in una recensione, la complessità che racchiude un videogioco che ha veramente così tanti problemi che non so da dove dovrei cominciare a descriverli, ma che mi ha tenuta attaccata al dualsense per 40 ore?
Ma, da qualche parte dobbiamo pur cominciare no?
Dovete sapere che sin dalla prima lezione di Game Design ci avevano avvertito “Non giocherete più i giochi con gli stessi occhi con cui li giocavate prima. Li giocherete con gli occhi di unǝ game designer.” E ho capito subito cosa intendevano. Avete presente quando iniziate a dissezionare i videogiochi? Guardando ogni minimo dettaglio per criticarlo, per capirlo, per entrare nella mente dellǝ designer e scoprire a che cazzo stavano pensando quando hanno deciso di mettere come predefinita una difficoltà a cui avrebbe potuto giocare anche mia madre che ha tenuto il joypad in mano solo per giocare a Party Time with Winnie The Pooh per PS1 (e le veniva anche difficile). Con Forspoken stavo cadendo in questa trappola. Finché non ho deciso di non farmi più domande, di vivere l’avventura di Frey come l’aveva pensata il team di sviluppo. Ho smesso di pensare a cosa avrei fatto meglio io.
Non voglio essere giudicante nella mia prima recensione. Io non ho mai letto recensioni mainstream, le trovo veramente paternaliste, almeno quelle dei sitini di settore che conosciamo bene. Ognunǝ di noi gioca ai videogiochi in modo diverso, ha esperienze diverse di background, quindi è normale che noterà e si concentrerà su ciò che lǝ colpisce di più in un’opera videoludica. E no, mia cara IGN “As critics, our job is to answer the question of whether or not we find the game to be fun to play and why.”, questo non è il lavoro della critica. Perché se io dovessi basarmi solo sull’essermi divertita o no a giocare Forspoken, la risposta sarebbe “Sì, compratelo!” (poi magari un giorno facciamo anche una digressione sul fatto che il termine “divertire” non significa “AHAHAHAH MARON K BELLO MI STO SCIALANDO” bensì proviene da “divertere” ovvero volgere altrove).
Ma va bene, basta, lo so che siete qui perché non vedete l’ora che vi spieghi com’è Forspoken.
E INVECE NO. IO VI PARLO DELLA MIA ESPERIENZA COL GIOCO SENZA DESCRIVERVI UN CAZZO DEL GIOCO IN SE’ PERCHE’ NON ME NE FREGA NULLA DELLE ANIMAZIONI DISTORTE DELLA FACCIA DI FREY QUANDO SI FA I SELFIE (Ciao Dani).
Iniziamo dal fatto che, come detto prima, Forspoken è un gioco facile. Sapete quante volte sono morta durante le mie quaranta ore di gioco? Zero. E questo mi ha portato a fare una riflessione su quanto è importante il concetto di fallimento nei videogiochi. A differenza della vita reale, all’interno dei videogiochi siamo portatз ad accettare il fallimento. Vediamo lo spazio videoludico come un luogo sicuro in cui poter fallire. Aneliamo il fallimento. E’ parte integrante della nostra esperienza videoludica. I roguelike ci hanno costruito un intero genere attorno al fallimento. I soulslike darebbero le stesse emozioni se non si potesse morire e, quindi, fallire? Non credo. Con questo, non voglio dire che i videogiochi considerati “facili” non siano validi a prescindere, ovviamente, facili per chi? Io sono la prima che cerca videogiochi facili, però, la base di un game design classico, che è ciò su cui si basa Forspoken, poiché non ha cercato di ribaltare nulla a livello di meccaniche e dinamiche di gioco, è quella di introdurti un obiettivo, di spingerti a raggiungerlo, mettendoti degli ostacoli sulla strada e fallire di conseguenza in modo tale da darti la voglia e gli strumenti per migliorare così da permetterti di rimanere nel cosiddetto FLOW.
Ecco, questo Forspoken con me non l’ha saputo fare. Gli “ostacoli”, se così si possono chiamare, erano di una facilità imbarazzante e soprattutto non mi permettevano di fallire. Il bilanciamento dei livelli dei nemici non è stato neanche contemplato, di conseguenza, mi sono ritrovata in questo mondo aperto che ti porta a grindare ed esplorare per trovare potenziamenti che poi, alla fine, non servono a nulla. Mi sono ritrovata a scegliere i mantelli e le collane, solo in base all’estetica e non alle statistiche che si ottenevano indossandole.
Per non parlare delle unghie, che avevano un potenziale enorme a livello sia narrativo che di gameplay, totalmente invisibilizzate, poiché non avevano un vero motivo di esistere, se non quello di avere dei potenziamenti che non portano alcun beneficio a livello di “superamento ostacoli”. Mi aspettavo di fare un ragionamento su come lo smalto per unghie avesse o no un valore per Frey in quanto donna, e non mi è stata neanche data la possibilità di intavolare un discorso simile, poiché non c’è neanche una lore dietro a questa meccanica di gioco. Questa meccanica mi ha urlato in faccia “FEMMINE COMPRATE IL GIOCO CON LE UNGHIE COLORATE” e mi ha fatto davvero girare le ovaie.
Io volevo esplorare tutto il cazzo di mondo, trovare tutti i mantellini bellini, le collanine scintillanti, le unghiette colorate, affrontare le sfide per ogni cazzo di abilità dello skill tree per migliorarle. E l’ho fatto. Come il gioco mi ha chiesto di fare. E sono diventata troppo forte. Ho rotto il gioco.
So che non se l’aspettava nessunǝ, però vi giuro che in Forspoken impersoniamo un’eroe che deve salvare il mondo. Incredibile. Mai vista una cosa del genere nei videogiochi. E sì, ho detto eroe e non eroina. Perché per essere considerato un viaggio dell’eroina, la storia deve avere dei punti fondamentali, quali le motivazioni che la spingono a intraprendere un viaggio, uno scopo personale, qualcosa in cui credere profondamente e che vuole vedere realizzato nella realtà come contributo benefico per la società. Per poi, alla fine del suo viaggio, dopo aver acquisito consapevolezze, tornare a casa. Non voglio fare spoiler sulla scelta finale che il gioco ti richiede di compiere, quindi, questa parte la analizzeremo in un contenuto a parte più avanti. Ma vi basta sapere che salvare il fucking mondo è la solita power fantasy bianca e maschile.
Il mondo, che non conosco perché non è mio, sono io. Io ho il mondo sulle spalle. Tuttǝ mi ammirano perché sono lǝ più forte di tuttз. Qualsiasi mia azione è giustificata, anche l’omicidio e il colonialismo, perché devo salvare il mondo. Divento sempre più potente man mano che progredisco nella storia. Sono l’unico essere agente, tutte le persone attorno a me vivono in funzione di me.
Possiamo dibattere sulla rappresentazione, sul fatto che magari non si vede praticamente mai che una donna di etnia mista salvi il mondo, quindi ciò ha una sua importanza. Però, finché qualsiasi storia che raccontiamo si basa solo ed esclusivamente sull’unico tipo di storia che abbiamo sempre raccontato, facciamo solo passi indietro, non avanti. Stiamo solamente prendendo una storia dell’eroe bianco e la stiamo tokenizzando per dire “Guardaci siamo inclusivi!”.
Quello a cui dovremmo pensare, invece, è ribaltare le cazzo di dinamiche di potere che attualmente troviamo nella società tramite i videogiochi. Raccontare storie che prendano davvero in considerazione il background di una persona marginalizzata, che non vuol dire che non può salvare il mondo, vuol dire che lo farà in modi diversi da come lo fa il solito eroe maschio e bianco, uccidendo e colonizzando qualsiasi cosa trovi sul suo cammino.
Square Enix: “We decided to model Frey after casting actress Ella Balinska, as we felt she embodied our envisioning of Frey perfectly.” Quanto fa paura sta frase? Quanto fa paura il fatto che un team totalmente formato da autori (e credo autrici, ma non mi sorprenderei del contrario) bianchi abbiano scritto una storia, anche solo uno script iniziale, e poi abbiano castato un’attrice di colore su un qualcosa che aveva già una sua forma, presumibilmente modellata da bianchi. I nostri amici di Square hanno ovviamente detto di aver usufruito di “consulenti esternз” per creare il personaggio di Frey. Persone nere, donne, donne nere che molto probabilmente non sono neanche finite nei titoli di coda del gioco, chiamate per “faccia lavata”, come si dice in Sicilia, ovvero per far sembrare di aver fatto le cose nel modo giusto. Ci ritroviamo per l’ennesima volta di fronte a personaggi marginalizzati raccontati da bianchi. Non a caso Frey è piena di stereotipi tipicamente associati alla cultura nera: essere sempre incazzatз, cadere tra le fratture della società, essere a un passo dall’andare in prigione. Il culmine lo raggiungiamo, però, quando Tom Keegan, motion capture e voice over director di Forspoken, descrive la performance di Ella Balinska come quella di chi ha una camminata “very hip-hoppy”. Dammi una lametta che mi taglio le vene, cantava Donatella Rettore.
Vi devo di nuovo tirare il pippone sul perché è sbagliato non includere le persone di colore, in questo caso specifico, dall’inizio della creazione di un’opera che parla di persone di colore? La risposta è nella domanda.
Perché le persone di colore devono avere il diritto di raccontarsi.
Perché se lз si relega solo a consulenti esterni non avranno mai una briciola di potere all’interno dell’industria videoludica.
Chiaramente questo discorso vale per qualsiasi tipo di marginalizzazione, che si tratti di persone queer, donne, persone con disabilità e così via. Questo gioco è tutto tranne che vittima del politicamente corretto. E se pensate che basti solo che la protagonista sia una donna nera per far sì che sia politico, io vi faccio esplodNOOOO.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?