Inventario limitato, nemici più o meno zombie, controlli (per fortuna non proprio) tank, enigmi da risolvere e una lenta discesa verso l’inferno. Un clone di un vecchio Resident Evil di fine anni ’90. Un classico, sì, ma niente di particolarmente nuovo. Però aspetta, c’ha anche qualcosa di Silent Hill: la promessa di ritrovare una persona cara perduta da mantenere a ogni costo, l’uso della radio, i nemici, i suoni disturbanti, il sistema dei finali e un milione di citazioni. Dopotutto va di moda ‘sta ripresa dell’horror d’annata. C’è anche la telecamera un po’ come nei primi Metal Gear Solid. Quindi dai, un bell’omaggio ai giochi di quell’epoca, con questo low poly infarcito di filtri e contornato da sonorità fastidiose, industriali, metalliche. No, aspetta, cosa c’entra Il Re in Giallo? E pure tutta quest’aria da regime della Germania dell’est, un po’ 1984, boh. Ei, ma qui c’è una citazione a Lovecraft! E i quadri dei simbolisti tedeschi? Non sto più capendo. Quello è palesemente un riferimento a Evangelion! E questo a Ghost in the Shell! Ma cosa sta succedendo? È successo prima questo, o quello? Cosa diavolo ho appena visto?
TW: spoiler da qui in poi. Criptici, senza contesto, difficili da trasporre sul gioco, ma comunque spoiler.
Dopo aver finito l’addestramento, la replika Elster è stata assegnata alla missione di ricerca Penrose, il cui obiettivo è trovare pianeti abitabili o ricchi di risorse naturali per lo sviluppo della Grande Nazione. L’efficienza del programma è garantita dall’invio di coppie Replika-Gestalt, un artificio e un umano, le quali devono mantenere una rigida e professionale relazione tra colleghi. Ma Ariane non è una gestalt come altre: ama la pittura, la fotografia, la musica, attività che il regime disapprova e proibisce di condividere con le replika. Ariane non vede l’ora di lasciarsi alle spalle questo ambiente che la opprime.
Da adolescente aveva conosciuto e frequentato le due sorelle Erika e Isolde sul pianeta Rotfront, dove il padre gestisce un negozio di fotocamere nel Settore C, legandosi alle loro memorie e personae. Le sorelle Itou sono state inviate sulla colonia militare S23-Sierpinska su Leng, un altro pianeta del sistema.
Di contro, Ariane e la replika Elster si trovano in viaggio interstellare, isolate. Le condizioni di vita a bordo del vascello peggiorano sempre più col passare dei cicli. Spazi ristretti, estrema limitatezza delle azioni quotidiane, ripetitività assoluta degli stimoli esterni. Nonostante questo, qualcosa germoglia tra Elster e Ariane, una speranza, un amore.
Parallelamente le due sorelle cercano di sopravvivere al durissimo sfruttamento dell’impianto minerario, anch’esse affidandosi al loro legame, fraterno. Il brutalismo architettonico spoglia di qualsiasi individualità le pareti delle celle; la sorveglianza continua sull’agire autonomo non permette alcuna disobbedienza alle regole ferree; l’ingranaggio è pronto a esser consumato fino all’osso e gettato via con ripugnanza. La macchina infernale della società istituita dal regime non ammette scricchiolii. Solo le urla sorde dei suoi componenti.
Il destino è tragico per i personaggi di questa vicenda, sia quelli nello spazio profondo che quelli nelle profondità di una miniera. Nessun pianeta verrà trovato da Elster e Ariane, la quale è costretta dalla sua natura mortale all’ibernazione e al lento deterioramento del corpo dovuto alle radiazioni. Nella miniera invece una malattia contagiosa sta infettando il personale, umano e non, prima consumandoli e poi riportandone in vita i corpi incancreniti, spingendo la società sempre più in basso, in una scala a chiocciola verso la follia.
Da dove si è originato il male? La realtà stessa si sta corrompendo. È il sogno di Ariane che viene avvelenato dalle radiazioni, o è la realtà a essere un sogno generato da quelle stesse radiazioni? Non importa. Ciclo dopo ciclo i dettagli spariscono o vengono contorti, mentre altri se ne aggiungono, e le replika LSTR si susseguono inconsciamente in un eterno ritorno verso un’agognata espiazione di un peccato originale da cui è scaturito questo inferno.
La Penrose si è schiantata su Leng. No, è impossibile, si trovava a centinaia di migliaia di anni luce da questo sistema. È un’occasione d’oro per Elster, per mantenere la promessa fatta ad Ariane prima dell’ibernazione. Nel ripercorrere quegli stessi corridoi dove le sorelle Itou hanno lavorato e faticato, la replika si districa nella fitta rete di orrore e disperazione. La storia si confonde, i volti si mescolano. Una delle sorelle è ancora qui, ancora viva, e sta cercando l’altra. O sono io che sto cercando Erika? No, non è così. Sto cercando Alina. No, chi è Alina? È identica ad Ariane, ma chi è? Cosa è successo qui? Chi sto cercando in fondo a questo buco infernale?
Il presente si intreccia con il passato, la memoria dei singoli riaffiora con sofferenza, mischiandosi in un turbinio di confusione e déjà-vu; la realtà ha paura e prova a scappare in un rifugio della ragione, ma S23-Sierpinska non è più la colonia oppressiva sotto il controllo dei Protettori. È peggio. La carne si è impossessata della struttura, e il rumore ha invaso le menti degli individui.
Il destino si è compiuto, nulla di tutto questo può essere fermato, inutile ribellarsi. L’umanità però non si arrende facilmente, vuole esprimere un ultimo desiderio, nonostante gli infiniti tentativi necessari affinché esso si avveri. Nonostante gli infiniti agnelli sacrificali inviati al macello per squarciare il velo di Maya, intrappolati in un loop di morte che ne ammassa i cadaveri sul fondo della tromba di un ascensore. È un racconto già scritto, è la melanconica rassegnazione dell’uomo che diventa un valzer tra sé e la morte, una celebrazione funerea della finitezza della vita. E dell’amore. Ironico che quell’uomo sia in realtà una replica artificiale LSTR rinominata Elster.
Infine, dopo innumerevoli iterazioni, la una Replika riuscirà nell’impresa. Raggiungerà il corpo dell’amata, la rivedrà, potrà posare un bacio sulla sua fronte e sdraiarsi accanto a lei su quella funesta barca diretta verso i cipressi oscuri dell’isola. Ariane, forse, ha sognato così tanto e così forte da non ricordare più. Elster, questa Elster, ha posto fine al sogno. E alla realtà.
Una prigione dalla quale l’unica uscita è la morte.
In profondità, il sognatore fluttua in un mare di carne.
Basta un attimo a liquidare Signalis come una cover di un horror di fine anni ’90 che cavalca il rinnovato entusiasmo per il genere. Un errore che abbiamo rischiato di commettere anche noi. E sia chiaro: a fare il cosplay del survival horror dei bei tempi sono più bravə due sviluppatorə tedeschə rispetto a Capcom e Konami tutte, almeno per quanto visto finora. Al di là del citazionismo, l’esordio di Rose-Engine è il frutto di una passione sconfinata per l’orrore fatto in quel modo, in quei modi.
Tutto dimostra uno studio, una selezione e un perfezionamento delle dinamiche che hanno reso i primi capitoli di Resident Evil delle pietre miliari a livello ludico. Ma anche la stessa cura nell’affinamento dell’approccio narrativo, ambientale e sonoro in grado di creare quell’atmosfera onirica e angosciante dei primi Silent Hill, capace di lasciare il giocatore con più domande che risposte e al tempo stesso di suscitargli una forte reazione emotiva.
Il punto però è che il racconto prende strade tutte sue. Parla della discesa in un inferno dantesco di una copia di un essere umano, in un sistema di pianeti alieno, in un immaginario retrofuturistico con estetica anime, in una società con regole sue, in cui le repliche di persone realmente vissute vanno tenute lontane da attività che possano risvegliare ricordi proibiti. Signalis mette sul piatto una voglia di parlare per simbolismi, una matrioska di stimoli riflessivi e una profondità tematica che rendono difficile confrontarlo con altri congeneri, tranne forse con i più riusciti capitoli della serie Konami. Racconta attraverso una cripticità figlia anche di questi ultimi anni di narrazioni interattive, trasmette oppressione, sofferenza, amore.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?