Vesper è una ficata pazzesca, qualunque tentativo di recensione sarebbe velleitario. Guardi ogni ambientazione e rimani sorpreso, ancora oggi, di quanto poco basti a tirare fuori un videogioco. Poi pensi a cosa c’è dietro quel poco che vedi a schermo. A cosa porta alla scelta di giocare sui contrasti, alle notti spese sui movimenti di macchina che stringono e allargano le inquadrature cercando di raccontarti un mondo senza usare le parole. Velleitario. Come fai tu che riduci i videogiochi alla parola a farlo anche con Vesper che la parola la rifugge? Come fai tu che al grande gioco della Game Critic hai giocato e magari hai pure perso a parlare di una macchina quasi perfetta che funziona per emozioni?
È successo qualcosa. Prima dell’inizio del gioco, prima che si possa prendere effettivamente in mano il controller. O meglio, durante la prima fase in cui si prende in mano il controller. Dura il tempo di qualche scena, ma accompagna tutto il resto del gioco. I resti di quella civiltà sono tutti lì, involucri ormai senza vita che possono proteggere quella del protagonista. Vesper in tutto questo è in giro da un po’, è un annetto che se ne parla sempre con maggiore insistenza. E sempre con maggiore insistenza si stressa il parallelo con Limbo. Un confronto che si esaurisce con “ci sono i puzzle e del protagonista vedi solo la sagoma“.
Per quanto Vesper racconti poco in realtà spiega abbastanza, a volte anche mettendo brutalmente a schermo delle scritte che spiegano le nuove meccaniche di gioco. Ma soprattutto Vesper è tra le altre cose anche uno stealth. Un gioco di attese finché le guardie non escono dall’inquadratura o si girano di spalle, dove gli enigmi hanno una soluzione generale ma come c’arrivi poi dipende da te. E in qualche caso puoi pure “barare”, aggirare l’occhio tutto sommato attento di Cordens Interactive e portarti qualcosa da uno scenario all’altro. Limbo alla fine c’è e non c’è, come quando Seven spegne la sua luce per nascondersi dai predatori.
Una storia post-apocalittica, ma ambientata oltre le stelle. Il fascino esoterico di tecnologie che non ci sono familiari e quindi sembrano magia. Poi però ti ritrovi ad attraversare una discoteca o un cinema o un villaggio e hai la sensazione che quelli potremmo essere noi. Dura il tempo di un ologramma sullo sfondo, perché poi il viaggio ti richiama e Seven deve andare da A a B. Solo che non è così semplice come andare da A a B, perché B a volte si nasconde dietro A e Vesper sovverte l’ordine naturale del Game Design. Siamo abituati a muoverci da sinistra a destra, fin dai tempi di Super Mario. Se magari i videogiochi fossero nati in Medio Oriente invece che ancora più a Est sarebbe diverso. Ma in questa timeline è andata così e quindi nei videogiochi, come nella lettura, si va da sinistra a destra.
Vesper se ne frega e molto spesso ti fa andare da destra a sinistra. Le prime volte pensi di aver letto oltre la Matrice e che anni e anni di videogioco ti abbiano insegnato che lì c’è un segreto. Andando indietro vai avanti per qualche minuto, finché non ti accorgi che è troppo. La strada giusta era effettivamente quella, e chissà cosa c’era dall’altro lato allora. Diventa un dubbio ricorrente per tutto il playthrough, perché le volte che trovi effettivamente delle vie opzionali ti aspetta un frammento di mitologia di quel mondo. Spaccati di vita prima che la vita si spegnesse su quel pianeta così lontano ma che a volte, quasi per gioco – quasi per caso – ti mostra qualcosa di inquietantemente familiare.
Lo sembra anche se lo sai benissimo che non è facile per un cazzo. Che dietro quelle cose che a schermo sembrano naturali come respirare c’è dello studio, del metodo, un trial & error che ti porta a raffinare la materia grezza finché non brilla. C’è anche la fortuna, di quella che aiuta gli audaci che decidono di andare all-in e competere con le aziende “grosse” del game-dev italiano e le battono pure. Perché poi alla fine Deck-13, quelli di The Surge e Lords of the Fallen, scelgono te e non uno a caso degli altri. E così il tuo gioco ha il budget non solo per uscire più bello di quello che era durante le Game Jam, ma anche col supporto a CORSAIR iCUE e a DualSense.
È il futuro dei videogiochi che passa anche per quello che gli succede attorno. Non a livello politico o filosofico, ma in senso pratico. Led che si illuminano degli stessi toni all’unisono, seguendo l’azione che si sviluppa sullo schermo. Feedback aptici che provano a restituirci un’imitazione del tatto per portarci dall’altra parte, oltre quella Matrice che pensavamo di aver hackerato e invece trent’anni dopo abbiamo a malapena scalfito.
Ti metti a scrivere la rece di Vesper e ci metti dentro anche questo, che con Vesper – con una recensione vera di Vesper – non c’entra nulla. Un gioco che si chiama come il tramonto e che invece per una volta ti fa intravedere l’alba. Perché ok, i soldi ce li han messi i tedeschi, ma la manifattura è tutta italiana. E in Italia di solito queste cose finiscono male.