Come Hans Voralberg che galoppa verso il suo ultimo desiderio a dorso di Mammuth, le lacrime di Kate mischiate con quelle dei giocatori, la neve come naturale effetto dissolvenza a rendere meno netto il distacco, la fine dell’avventura. Benoit Sokal se n’è andato mentre era al lavoro sul quarto capitolo di una serie che per me e tantissimi giocatori nel mondo rappresentava una stella nel firmamento videoludico, soprattutto grazie al tratto unico del designer e fumettista belga.
L’architettura sovietica che si mischia all’art deco, il brutalismo alla Natura, lo steampunk alle usanze della cultura Inuit, trasfigurata negli Yukol dell’opera Microids. Uno degli immaginari più riconoscibili mai pensati, disegnati, amati. Poco importa se il terzo capitolo aveva abbandonato il pre-renderizzato per uno zoppicante Unity.
È sempre stata questa la sua grandezza, quella dei personaggi che alla morte diventano eterna sottrazione per il mondo che li ha amati. Non ci sarà mai un altro Sokal, ma le sue opere rimarranno, a testimonianza della sua immortalità artistica.