Un attimo, mi ricompongo. Narita Boy. Che bello che è Narita Boy. Soprattutto che bello che era difenderlo fino all’altro giorno, quando l’Avvocato e Il Cummenda lo dissavano perché si erano fermati alla superficie. A quei difetti che sì, ci sono, ma se SpaccioGames ti ha detto “vai oltre i problemi” con Cyberpunk 2077 potrò farlo io con un robo 2D fichissimo che parla di programmazione? Solo che poi arrivi alla fine e sostanzialmente la fine non c’è. E ‘ste cose mi fanno troppo girare il cazzo. Per cui sarà una di quelle rece tutto sale, quelle da non prendere troppo sul serio. Però se dico che si sghé mi date del paraculo.
Le cose belle. Iniziamo da quelle. Tipo quando stai nervoso e la gente ti dice di calmarti, di fare pensieri positivi eccetera. Avesse mai funzionato la meditazione capirei pure, ma vabbè. Le cose belle in Narita Boy sono tutte quelle che guardi. La Pixel Art è veramente meravigliosa, la direzione artistica è incredibile e insomma, best indie 2D dell’anno già a maggio. Adesso ve la potrei descrivere un pixel alla volta. Dirvi come gli sviluppatori hanno utilizzato i colori per descrivere mondi e stati d’animo che volevano trasmettere legando pure il tutto alla narrazione e bla bla bla. Però sto prima ad appiccicarvi qua in calce uno screenshot random preso dal gioco così, insomma, usate gli occhi per la loro funzione primaria. E io risparmio di battere 200 parole usando paroloni belli e mi concentro sul rant.
Artisticamente che cazzo vuoi dire a Narita Boy? Nulla, perché rasenta la perfezione. E pure il world building è indovinatissimo. I dev hanno disegnato un mondo che lo farà venir duro a tutti gli informatici che stanno leggendo ma non taglia fuori gli altri, anzi. L’aura sacrale che c’è attorno alla programmazione c’è tutta, quasi come se Narita Boy fosse quel primo The Legend of Zelda dove Miyamoto voleva Link come collegamento tra un fantasy classico e una roba alla Tron. C’è pure un equivalente della Triforza, la Tricromia, che va a riprendere tutto quel sottotesto cromatico che sottotesto manco per niente ma oh. Poi va detto che pure la colonna sonora non è che scherzi, e Narita Boy è anche bello da ascoltare. Però stringi stringi i giochini van giocati, no?
Pad alla mano non è che stiam parlando di una roba orrenda, sia chiaro. Il battle system è divertente e ha anche un paio di idee stimolanti a livello di sfida. Tipo che caricando l’aura di un certo colore se questo corrisponde a quello del nemico si fanno molti più danni, ma di contro se ne subiscono anche di più se si viene colpiti. La fisica dei salti non ha senso, vero. E l’idea che poi alcuni di questi in realtà devi farli con l’uppercut perché ti porta leggermente più in alto è un big no. Ecco, qui Narita Boy inizia ad inciampare. Perché in generale il level design ha un sacco di queste magagne, come guardare il codice scritto da un collega meno sgamato e notare che diverse cose si potevano fare in modo più elegante.
Ti manda a zonzo un po’ a caso, Narita Boy. Entra in una stanza, prendi la chiave, esci e vai in quell’altra. Il tutto pure senza una mappa, che servirebbe visto che insomma di aree ce ne sono. Tanto che qualche idiota ha pure iniziato a parlare di Metroidvania. E magari sarebbe il caso di fare un corso accelerato su cosa sono, ma vabbè. Tiri avanti perché comunque la parte di mazzate funziona e come detto art direction, world building, soundtrack e altre parole inglesi a caso per darsi un tono funzionano. Alla grandissima. Sei intrippatissimo con tutto il mondo, con tutto il mood, e vuoi il finale. Solo che poi arriva e vai un po’ a vedere che c’è scritto all’inizio del pezzo.
Io lo so che tanto la gente i giochini non li gioca fino alla fine. Vuole la roba da ottocento ore, e poi ne gioca tre se va bene. Lo so. Però io che i giochini li finisco i finali li vorrei almeno decenti. Mi va bene che ci metti meno budget, mi va bene che chiudi di fretta. Però i finali aperto senza sapere se mai potrai fare un capitolo due anche no, soprattutto se sono un rip off pure nascosto male di Ritorno al Futuro.