Che nulla da dire eh, su Housemarque mi faccio le seghe da Super Stardust e vederli finalmente alla ribalta come meritano da due generazioni e mezza è una soddisfazione.
Però capisci che in mancanza d’altro ci stiamo buttando sulla qualunque, il che implica giocarsi pure una vagonata di indie.
L’indie non è più l’indie che c’ha salvati tutti da mo’. Molto spesso si tratta di titoli in pixel art perché si devono dare un tono, che suonano come suonavano i classici dell’era 8 e 16 bit senza aggiungere nulla. È una fase che in realtà il movimento degli sviluppatori indipendenti avrebbe pure superato, perché lo abbiamo visto già con Hellblade cosa si può tirar fuori. Però c’è ancora quella tendenza per cui nell’anno di Doom Eternal ci mettiamo tutti a fare il nostro Doom Clone come se fosse il 1993 sperando di vendere qualche migliaio di copie per culo.
Però scava scava qualcosa di interessante – anche di molto interessante – c’è. Avoja se c’è. Returnal stesso va a riprendere alcune idee da Dead Cells e se la gioca, per quanto in modo molto diverso, un po’ come se l’era giocata Hades l’anno scorso. C’è quella ficata quantica di Everhood, per esempio. Che qualche settimana fa era più streammato di Talkshow & Podcast su Twitch, cosa per cui ho goduto una marea. C’hai un gioco anticapitalista basato sul dire no come Say No! More e uno Zelda-Like sulle tasse. Hai anche della roba media, tipo Smelter che ci prova ma non è e non sarà mai The Messenger. Ma manco Narita Boy sarà mai The Messenger, eppure pad alla mano ti dà un feeling tutto suo per cui non gli puoi voler male…